Sono circa 600.000 in Italia i malati di Alzheimer e sono in costante aumento le difficoltà economiche di chi – a causa dell’aggravarsi delle condizioni dei propri cari – non può più prendersi cura direttamente di loro.
A tale è bene sottolineare che – nell’interesse del paziente – talvolta possono ritenersi preferibili le c.d. cure domiciliari. Spesso, però, le attenzioni dei familiari non bastano e l’assistenza di cui necessitano questi malati è tale da rendere impossibile o comunque estremamente pericolosa la loro permanenza a casa.
Molte volte, infatti, la natura “tecnica” (sia medica che infermieristica) delle cure necessarie per questi pazienti va al di là dell’affetto familiare e domestico, sicché la continua assistenza e sorveglianza impongono – come nel caso di specie – il loro ricovero e la loro permanenza presso strutture, i cui costi sono considerevoli e tali da ripercuotersi gravemente sul budget familiare, con buona pace del diritto alla salute.
Quest’ultimo, come noto, è garantito dalla Costituzione, come diritto inviolabile della dignità umana. Proprio in tale prospettiva, la legge di riforma sanitaria ha stabilito l’erogazione gratuita delle prestazioni di carattere sanitario in favore di tutti i cittadini, ponendo a carico del Sevizio Sanitario Nazionale i relativi costi. Ciò detto, i malati di Alzheimer ed i loro parenti non devono versare alcuna retta alle RSA o alle case di cura convenzionate.
Ed infatti il malato di Alzheimer, ricoverato in una struttura pubblica, riceve cure aventi natura prevalentemente sanitaria. Dette cure, in quanto tali, non devono essere sostenute né dal paziente né dai suoi congiunti.
E allora, chi deve farsi carico dei costi?
Sul punto si è espressa limpidamente la Corte di Cassazione, la quale ha affermato che le rette di ricovero presso enti pubblici o case di cura convenzionate non devono essere sostenute dal paziente o dai suoi parenti, trattandosi di spese che devono essere poste a carico esclusivo del Servizio Sanitario Nazionale.
Quanto statuito dalla Corte di Cassazione è stato recentemente ribadito anche dal tribunale di Verona il quale ha chiarito nuovamente che per i malati di Alzheimer ricoverati presso strutture sanitarie pubbliche, le spese di ricovero e delle cure sanitarie sono gratuite.
Tali costi, infatti, devono considerarsi totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, con la conseguenza che, nei casi come quello di specie, nulla è dovuto dal paziente o dai parenti di quest’ultimo.
Ma non è tutto. Con la decisione in commento, il tribunale di Verona non solo ha dato torto alla struttura sanitaria, ma ha altresì condannato la medesima a restituire al figlio dell’anziana donna le somme che questi aveva già pagato in passato.
Orbene nonostante le pronunce della Cassazione e dei tribunali nazionali, i Comuni e le Rsa continuano a chiedere ai pazienti e ai loro familiari il pagamento di una quota della retta di ricovero in relazione al reddito Isee.
A tal proposito è noto e pacifico che la retta della Rsa sia composta da una quota sanitaria e da una quota alberghiera. Sicché, nel caso di riconoscimento del diritto d’ingresso dell’assistito in Rsa, la quota sanitaria viene posta a carico del Ssn, mentre la quota alberghiera è sottoposta ad una partecipazione economica dell’assistito e della sua famiglia in base al reddito Isee.
I Comuni, quindi, stabiliscono gli importi a proprio carico e quelli dovuti dall’assistito sulla base dell’Isee dell’assistito e dei parenti in linea retta di primo grado, sommando la pensione di invalidità, l’indennità di accompagnamento e persino la prima casa (in base alla rendita catastale).
Molti malati, dunque, sulla base del proprio Isee, si sono trovati costretti a dover pagare la quota intera o comunque parte della retta alberghiera.
Tuttavia, la situazione anzidetta – valevole per numerose categorie di degenti in Rsa – non è legittima per i malati di Alzheimer, atteso che per gli stessi vi è una stretta correlazione tra le prestazioni sanitarie e quelle assistenziali, tanto che anche le seconde devono ritenersi a carico del Ssn. Tale principio è inoltre stabilito dalla legge 730 del 1983 all’art. 30.
Detto principio è ancora in vigore, tant’è che lo stesso è stato confermato anche dal Dpcm del 14.2.2001 che pone a carico del Ssn le prestazioni socio-assistenziali ad alta integrazione sanitaria, come quelle necessarie ai malati di Alzheimer.
Nonostante i principi espressi, nella realtà accade troppo spesso che Rsa e Comuni facciano sottoscrivere ai familiari dell’assistito un impegno di pagamento, col ricatto che altrimenti non sarebbe possibile il ricovero dell’anziano. E i parenti firmano e pagano.
Ma quando l’anziano è disabile grave, ha un’invalidità al 100% e non ha mezzi sufficienti, la retta è a carico del Ssn e del Comune.
In simili circostanze, dunque, nulla può richiedere la Rsa per il ricovero al paziente né ai suoi familiari, né tanto meno può minacciarne le dimissioni senza esporsi al rischio di commettere un reato.
Eventuali atti di impegno da sottoscrivere sono (secondo la giurisprudenza) nulli e, se già sottoscritti, revocabili.
ATTENZIONE: Quanto descritto evidenzia semplicemente la giurisprudenza affermatasi sul punto specifico.
(disabili.com)